Va riconosciuto all’agenzia delle Entrate il potere di riclassificazione delle poste del bilancio, contestandone i criteri di compilazione in presenza di determinati presupposti al fine di far emergere o meno la sussistenza di un credito tributario e del correlato diritto al rimborso. Questo il principio che emerge dalla sentenza pronunciata della Ctr Lombardia n. 4267/2019, depositata il 29 ottobre 2019.
L’annosa questione decisa dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia dopo il «cassa e rinvia» da parte della Suprema Corte di cassazione è particolarmente importante, a parere di chi scrive, in quanto afferisce la facoltà dell’amministrazione finanziaria di intaccare le poste del bilancio redatto dalle imprese secondo i principi del codice civile.
In particolare la vicenda esaminata sia dai giudici di merito che di legittimità concerneva un avviso di accertamento con il quale l’ufficio recuperava un rimborso Iva ritenendo la ricorrente ( società immobiliare) non operativa ai sensi dell’articolo 30 della legge 724/1994.
L’accertamento traeva origine dalle risultanze di un Pvc della Gdf in cui veniva accertata la non operatività della società che, pur avendo ad oggetto l’acquisto, la vendita, la permuta e le valorizzazione di beni immobili, aveva svolto esclusivamente attività di locazione dell’unico immobile di cui era proprietaria, acquistato dopo alcuni giorni dalla sua costituzione in data e mai posto in vendita.
Tali risultanze istruttorie venivano recepite nell’avviso di accertamento de quo il quale veniva motivato sull’assunto che l’immobile non poteva figurare nell’attivo circolante del bilancio societario, bensì fra le immobilizzazioni materiali, per cui, atteso che l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi, delle rimanenze e dei proventi risultanti dal conto economico era inferiore alla somma degli importi che si ottenevano applicando 1 % del valore dei beni indicati nell’articolo 53, Tuir, il 4% del valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e il 15% del valore delle altre immobilizzazioni e, quindi, a norma dell’articolo 3 legge 662/1996, l’eccedenza di credito esposta dalla dichiarazione Iva non poteva essere ammessa a rimborso.
Tralasciando tutti gli altri motivi d’impugnazione che hanno caratterizzato il lungo iter processuale ci si sofferma su quello concernente la dedotta violazione , da parte dell’ufficio, consistita nell’aver riclassificato le voci del bilancio della società regolarmente approvato dalla assemblea dei soci; su tale aspetto i primi giudici avevano osservato che l’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994 non prevede la possibilità per l’amministrazione finanziaria di riclassificare le poste di bilancio da «Rimanenze» ad «lmmobilizzazioni» e che, pertanto, la riclassificazione effettuata dall’ufficio sulle poste di bilancio d’esercizio, era stata effettuata in contrasto alla delibera assembleare ed alle risultanze delle scritture contabili regolarmente tenute, ciò in violazione dell’articolo 2423 e seguenti del codice civile.
La Ctr recepisce il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in fase di rinvio ( Ordinanza n. 20122/2018) che in un due passaggi chiave della motivazione afferma come: a) «Gli amministratori della società, cui spetta di redigere il bilancio secondo le norme di cui agli artt. 2423-2426 cod. civ., non rivestono la qualità di pubblici ufficiali e tanto basta ad escludere che il bilancio ·sia annoverabile fra gli atti che, ai sensi dell’art. 2700 cod civ., fanno piena prova, sino a querela di falso, della corrispondenza al vero delle attestazioni che vi sono contenute.
Al contrario, l’art. 2379 e.e. consente a chiunque vi abbia interesse di impugnare la delibera di approvazione del bilancio, entro tre anni dalla sua iscrizione, per ottenerne l’annullamento, chiedendo al giudice di valutare se il documento sia stato o mena redatto in conformità dei principi inderogabili di verità e chiarezza previsti dalla legge, senza alcuna necessità di esperire contestualmente querela incidentale di falso»… b) «…la possibilità per l’Agenzia delle entrate di rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione, al fine di far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l’insussistenza di quello chiesto a rimborso, è del resto implicitamente prevista da tutte le norme antielusive che consentono all’Ufficio non solo di procedere ad ispezioni e verifiche sulle scritture contabili, ma anche, in presenza di determinati presupposti, di operare l’accertamento in via presuntiva…».
Recepiti i suddetti principi e perimetrato l’oggetto della decisione, la Ctr evidenzia come l’aspetto controverso non fosse la validità della delibera di approvazione, bensì la corrispondenza al vero delle risultanze del bilancio. In tal senso, chiosa il Collegio, «va riconosciuto all’Agenzia delle entrate il potere di riclassificazione delle poste del bilancio, contestandone i criteri di compilazione in presenza di determinati presupposti (quali quelli previsti dagli articolo 30 legge n. 724/94 e 3 comma 45 legge n. 662/68), al fine di far emergere o meno la sussistenza di un credito tributario e del correlato rimborso». Nel caso di specie gli immobili in questione andavano quindi riclassificati come “immobilizzazioni materiali” secondo una corretta rappresentazione in bilancio, considerato che non erano stati compravenduti in tempi ragionevoli ma, per tutto il periodo considerato, rimasti sempre locati.