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La sola disponibilità di attività estere obbliga alla compilazione del quadro RW

La trasmissione di istruzioni e volontà al titolare formale integra una vera a propria movimentazione degli investimenti e attività finanziarie estere, rilevante ai fini degli obblighi di monitoraggio fiscale e, quindi, di indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. È quanto si desume dalla recente ordinanza 25956/2019 della Cassazione.

Cosa dice la norma

Ai sensi dell’articolo 4 del Dl 167/1990, le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate, residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi; sono altresì tenuti agli obblighi di dichiarazione i soggetti che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano titolari effettivi dell’investimento.

I chiarimenti delle Entrate

L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione: in tal senso, in caso di conto corrente estero intestato ad un soggetto residente sul quale vi è la delega di firma di un altro soggetto residente, anche il delegato è tenuto alla compilazione del quadro RW per l’indicazione dell’intera consistenza del conto corrente detenuto all’estero qualora si tratti di una delega al prelievo e non soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario. L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste non soltanto nel caso di possesso diretto delle attività da parte del contribuente, ma anche nel caso in cui le predette attività siano possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona (è il caso, ad esempio, di soggetti che abbiano l’effettiva disponibilità di attività finanziarie e patrimoniali “formalmente” intestate ad un trust (sia esso residente che non residente). In sostanza, l’obbligo dichiarativo riguarda anche i casi in cui le attività estere, pur essendo intestate a società (di qualsiasi tipo) o ad entità giuridiche diverse dalle società (ad esempio, fondazioni o trust), siano riconducibili a persone fisiche, ad enti non commerciali o a società semplici ed equiparate, in qualità di “titolari effettivi” delle attività stesse (circolare 38/E del 23 dicembre 2013, § 1.1).

Le pronunce della Cassazione

La Suprema Corte, del resto, ha reiteratamente stabilito che l’obbligo di dichiarazione di cui all’articolo 4 del Dl 167/1990 riguarda non solo l’intestatario formale e il beneficiario effettivo di investimenti o attività di natura finanziaria all’estero, ma anche colui che, all’estero, abbia la disponibilità di fatto di somme di denaro non proprie, con il compito fiduciario di movimentarle a beneficio dell’effettivo titolare, atteso che, tenuto conto della ratio della previsione, rileva una nozione onnicomprensiva di detenzione, che include anche le situazioni di detenzione nell’interesse altrui ( Cassazione, sentenze 26848/2014, 17051/2010 e 9320/2003).

Con la sentenza qui commentata, la Cassazione, riconfermando la sua pregressa posizione, ha stabilito che legittimamente il Fisco aveva contestato a un contribuente persona fisica la mancata indicazione nel quadro RW delle attività finanziarie estere formalmente intestate a una società, atteso che su dette somme tale contribuente aveva impartito istruzioni e volontà.