Sono indeducibili le consulenze acquisite da una società per la realizzazione di un progetto che, di fatto, non è stato realizzato. Ciò in quanto manca il requisito dell’inerenza e del perseguimento di uno scopo produttivo connesso alle finalità imprenditoriali. A tale conclusione è giunta la Cassazione con l’ordinanza 24126/2019.
L’ente non è riuscito a dimostrare né il nesso di inerenza né le circostanze che hanno giustificato la difformità temporale tra acquisti e cessioni, non potendo assumere valenza, in tale contesto, le limitate operazioni attive perfezionate nel 2014 e nel 2015 rispetto a una situazione nella quale, dall’anno 2008 al 2012 la società (in liquidazione) non ha mai dichiarato operazioni rilevanti ai fini Iva né tantomeno ricavi commerciali. Non vi è stata, pertanto, alcuna dimostrazione della connessione fra gli acquisti e le operazioni attive indicate e tutto ciò ha fatto venir meno il diritto alla deduzione del costo e alla detrazione dell’Iva correlata.
Il collegio di legittimità ha affermato nella motivazione che «sia ai fini della deduzione dei costi in tema di imposte dirette sia ai fini di detrazione Iva, incombe sul contribuente l’onere di provare l’inerenza del bene o del servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o del servizio all’esercizio dell’attività medesima» e «mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso (cioè senza eccezioni) effettuate nell’esercizio dell’impresa, ai fini della detraibilità dell’imposta è onere di chi l’invoca provare che le operazioni passive sono state effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, e cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali» in quanto «un tale accertamento deve essere compiuto non già in astratto bensì in concreto, e va rapportato all’oggetto sociale».
Pertanto, relativamente alle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, risulta «detraibile esclusivamente l’Iva relativa all’acquisto di beni necessari per l’esercizio vero e proprio dell’impresa, dall’imprenditore effettivamente destinati alla realizzazione degli scopi produttivi programmati, e il requisito dell’inerenza dell’acquisto all’esercizio dell’impresa va identificato mediante raffronto tra l’operazione passiva e quelle attive, dovendo essere cioè provata la strumentalità della prima rispetto a queste ultime, già compiute o anche soltanto programmate e con valutazione – quella della strumentalità di un acquisto rispetto all’attività imprenditoriale o professionale – da effettuarsi in concreto».
L’origine dell’inerenza è pertanto individuabile nel medesimo sistema di imposizione sul reddito il quale, correlando i componenti economici a una fonte legalmente qualificata, necessita della statuizione di una clausola generale in grado di decretare il menzionato collegamento. Tale clausola è individuabile nella relazione di causa/effetto dei singoli componenti economici rispetto all’attività che costituisce la fonte del reddito ed è tale da permettere di considerate i componenti elementari concretamente correlati all’esercizio dell’attività medesima.
Da tale principio scaturisce la correttezza dell’affermazione per la quale la possibilità di dedurre i componenti negativi di reddito è legata all’esigenza di misurare la capacità economica del presupposto di imposizione e pertanto il reddito d’impresa. In assenza di questo legame con l’attività, tali poste non hanno alcuna possibilità essere reputate inerenti.