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Compensazioni indebite, prova in F24

Solo gli F24 provano il delitto di indebita compensazione. Sono irrilevanti, infatti, ai fini probatori, le scritture contabili o i dati indicati nella dichiarazione. Ad affermare questo principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 44737 depositata ieri.

L’amministratore di una società veniva condannato per il reato di indebita compensazione (articolo 10 quater del decreto legislativo 74/2000) e la decisione veniva confermata anche in appello.

L’imputato ricorreva così in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un vizio di motivazione e prova del fatto costituente reato, atteso che non erano stati acquisiti i modelli F24 che avrebbero consentito di dimostrare l’indebita compensazione contestata.

I giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso, hanno innanzitutto rilevato che la condotta del reato di cui all’articolo 10 quater, si caratterizza per il mancato versamento di somme dovute utilizzando in compensazione, in base all’articolo 17 del Dlgs 241/97, crediti non spettanti o inesistenti.

La norma ha infatti istituito il modello F24 per compensare i debiti con i propri crediti.

A tal fine – ha precisato la Cassazione – non è sufficiente a integrare il delitto un mancato versamento, poiché occorre che lo stesso risulti, a monte, formalmente “giustificato” da una operata compensazione tra somme dovute all’erario e crediti verso il contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti.

La presentazione del modello F24, quindi, rappresenta proprio l’elemento che differenzia il reato dal mero omesso versamento, per il quale è invece sufficiente l’indicazione del debito in misura superiore alla soglia nella dichiarazione presentata.

In difetto del citato modello non può sussistere la compensazione e conseguentemente l’ipotesi delittuosa.

Nella sentenza è altresì precisato che la prova della realizzazione di tali indebite compensazioni non può essere ricavata dalle annotazioni sul libro giornale e dalle dichiarazioni Iva.

La decisione è particolarmente interessante poiché, in termini concreti, sembra escludere la sussistenza del reato in tutti i casi in cui la compensazione avviene senza l’utilizzo del modello F24. Si tratta della cosiddetta “compensazione verticale”, ossia tra gli stessi tributi, frequente soprattutto in materia di Iva. In tali casi, infatti, il debito è compensato automaticamente senza la necessità di presentare il citato modello di pagamento e ne è data evidenza solo nei registri contabili e nella relativa dichiarazione.

Peraltro, tali principi sembrano mitigare il rigoroso orientamento sul reato di indebita compensazione di crediti derivanti da dichiarazione omessa.

Più precisamente, la stessa terza sezione penale (si veda Cassazione 41229/2018 e 43627/2018), aveva ritenuto integrato il reato se il credito utilizzato derivava da una dichiarazione omessa, atteso che in assenza dell’indicazione in Unico non poteva essere utilizzato.

Alla luce dei principi ora affermati dalla Suprema Corte, quindi, è verosimile ritenere che il credito, derivante da dichiarazione omessa, utilizzato direttamente per lo stesso tributo, senza la presentazione del modello F24, non costituisca reato.